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E noi disabili, per chi dovremmo votare? di Marilena Aiello

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In questa campagna elettorale, forse la più rumorosa che ricordi

Tra perfide invettive e slogan più o meno vincenti, tra proposte presentate come miracolose per il futuro della nostra Nazione, tanto bella quanto vilipesa, a chi dovremmo dare il nostro voto, noi popolo di disabili italiani? A chi dovremmo o potremmo dare fiducia, in chi riporre le nostre speranze spesso disattese, chi incaricare della responsabilità di scelte che migliorino la nostra vita e quella dei nostri famigliari?

I disabili in Italia sono milioni, ma la loro voce resta quasi sempre inascoltata al momento di preparare i programmi elettorali. Capiamo bene che, in un Paese in piena crisi come il nostro, le urgenze sono rappresentate dal lavoro, dall’emergenza abitativa, dall’immigrazione, dal dissesto idrogeologico, dalle risorse energetiche, dagli equilibri internazionali… la lista potrebbe continuare all’infinito.

Diciamoci la verità: il discorso disabili è noioso, è imbarazzante, è pieno di trappole, si rischia di sbagliare sempre, sia se li metti in fila per gravità che per patologia, per età o per zona geografica. Insomma, questi disabili è poi detto che vadano a votare? Tanta fatica e tanto rischio per del tempo sprecato? Meglio, per i signori politici, affrontare il tema delle pensioni, ché prima o poi interessa tutti, o quello del lavoro che manca, o delle scuole fatiscenti, ché fanno sempre presa.

Ciò che però i signori politici non considerano è che in tutti questi discorsi noi ci siamo, siamo presenti come persone, come membri di un nucleo famigliare, come genitori o figli, come lavoratori, come consumatori e contribuenti, come cittadini e in alcuni casi anche come datori di lavoro. In Italia ci sono infatti circa 4.360.000 di persone con disabilità, il 7,2% della popolazione italiana. Circa 2.155.000 hanno condizioni di particolare gravità e sono il 3,6% della popolazione italiana (dati pubblicati dall’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni italiane).

Noi non viviamo all’estero, non abitiamo reclusi in una regione a parte, in un’isola irraggiungibile, ma facciamo parte del tessuto sociale e lavorativo, in parole povere: siamo tra voi e non è detto che un giorno, prima o poi, forse, anche voi potreste essere tra noi.

Quindi, signori politici, quando preparate i vostri programmi, quando scrivete i vostri discorsi con le rime ad effetto, sappiate che vi ascoltiamo e riflettiamo non solo sulle parole, ma anche sul loro contenuto e sul senso delle stesse. Si sa, noi abbiamo più tempo degli altri.

È vero, lo dobbiamo ammettere: ultimamente vi siete resi conto dell’importanza fondamentale di chi assiste un familiare disabile (rinunciando spesso ad una carriera lavorativa propria), come è vero, però, che dobbiamo ancora attendere la fine di marzo (se tutto va bene) per l’approvazione definitiva del Testo unico sul caregiver familiare (figura inserita nella Legge di bilancio 2018), nonché dei successivi decreti attuativi, prima di veder concretizzata questa sacrosanta richiesta ormai datata.

Ed è vero, lo dobbiamo ammettere: ultimamente si parla sempre più spesso di inclusione, ma la maggior parte delle volte restano parole per gli “addetti ai lavori” perché è sufficiente recarsi in qualsiasi ufficio pubblico per accorgersi che la maggior parte dei disabili non trova l’accoglienza necessaria, sia per insormontabili barriere architettoniche (qualche esempio: molti scivoli sono realizzati senza rispettare le norme minime di sicurezza e accessibilità, per non parlare dei bagni e degli ascensori) sia per le insuperabili barriere culturali e sociali.

Un disabile, a causa delle frequenti campagne denigratorie e diffamatorie degli ultimi anni, è considerato un costo, un furbetto, un opportunista, un problema da scaricare al collega o da consegnare a chi dovrebbe occuparsene. E appunto: chi dovrebbe occuparsene? Sarebbe così strano chiedere uffici e responsabili dedicati, non solo informati e aggiornati sui diritti del disabile stesso, ma anche formati per rispondere in modo corretto, e magari (ma qui siamo alla fantascienza) anche in LIS (lingua dei segni) se in presenza di un sordo, o istruiti per accogliere una persona con qualsiasi disabilità senza mostrare imbarazzo né disagio? Si dovrebbe iniziare dalla scuola, dice qualcuno, ma abbiamo visto che nonostante i tentativi, esistono ancora episodi di bullismo nei confronti di alunni con disabilità e personale docente inadeguato.

Si potrebbe iniziare nell’ambiente di lavoro, dice qualcun altro. Ma anche qui, ci si imbatte in chi (già dall’annuncio di ricerca personale) pretende qualità e disponibilità tali da risultare incompatibili con qualsiasi tipo di disabilità, perdendo così l’occasione di valorizzare chi, per vissuto ed esperienza, avrebbe un punto di vista diverso, forse addirittura migliore e potrebbe contribuire alla crescita dell’azienda. Sarebbe giusto iniziare dal contesto sociale e locale, forse.

Ma come integrare un disabile che non può pagare un accompagnatore, né tanto meno partecipare ad alcun evento se non aiutato ed assistito dalla famiglia, anche economicamente? Assegni di invalidità irrisori e pensioni ridicole impediscono, a conti fatti, una vita anche lontanamente dignitosa. Ebbene, a tutti questi quesiti e problemi, con quali proposte e soluzioni rispondono i partiti politici in campagna elettorale? Da quel che leggiamo, appare evidente che ne restano pur sempre lontani perché è un pianeta incomprensibile per chi non vi atterra, non vi sosta, non vi abita. È stato più facile fare proposte di morte che di vita.

Ma prima di arrivare all’eutanasia, prima di dover pianificare ciò che sarà di noi quando i nostri genitori non ci saranno più, prima di rinunciare ad essere individui unici e amati per diventare solo numeri e percentuali, vogliamo ancora credere e sperare che possa esistere un mondo di cui far parte senza che questa parte sia un’aggiunta al tutto, un rattoppo mal cucito, un qualcosa di cui accontentarsi.

La FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) nel mese di gennaio 2018 ha pubblicato un appello alle forze politiche per bandire la segregazione, combattere l’abbandono, dare concretezza all’uguaglianza delle opportunità̀ e all’inclusione sociale. Un elenco di 16 richieste da considerare linee guida, elaborato da chi conosce quel pianeta di cui parlavamo prima.

Ebbene, leggendo i programmi elettorali, si ritrova ben poco, quasi nulla, di quanto scritto e proposto. Siamo nel 2018, ma per alcuni milioni di disabili questo presente altrui si avvererà in un futuro non ancora prevedibile.

Marilena Aiello

Fonti e articoli per chi vuole saperne di più: