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Le tentazioni ed i rischi della scienza accessibile di Marilena Aiello

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  • Categoria dell'articolo:M. Aiello

“Febbre, dolori muscolari, debolezza… Oddio, che sarà? Vediamo cosa trovo su internet”

Sicuramente molti di voi hanno pronunciato una frase simile e chi non l’ha mai fatto, l’ha sentita pronunciare a qualcuno.
Negli ultimi 15 anni, dal 2000 ad oggi, la percentuale di persone che si connettono ad internet da casa o dal luogo di lavoro è passata dall’11% al 68% e ormai quasi un quarto degli italiani (over 18) che cercano informazioni sulla propria salute lo fa sul web, e sul web, lo sappiamo bene, si possono trovare notizie di ogni genere: vere o false, manipolate, deformate dal “sentito dire”, riportate male da persone che hanno letto male.

Ma perché cerchiamo su internet ciò che potremmo chiedere al medico? Semplice eppur complessa la risposta: empatia clinica, cioè la voglia di essere compresi, consolati, direi quasi coccolati, dai risultati che troviamo e che possiamo interpretare a nostro piacimento, rendendoci protagonisti della nostra storia, confrontandola con le storie altrui in una sorta di sun pathos (cioè sentire insieme, soffrire insieme) che ci solleva da quello stato di semplici malati, restituendoci quell’ascolto attento che non sempre troviamo nel medico.

Diventiamo quindi attori con capacità e possibilità di scelta, ci sentiamo esploratori di noi stessi e scopritori non solo della nostra malattia, ma anche della cura che ci salverà, usciamo definitivamente dal ruolo di paziente che accetta rassegnato il farmaco somministrato, l’ineluttabile terapia, buona o cattiva che sia. Questa la tentazione, legittima e spesso salvifica, a mio modesto parere.

C’è l’altra faccia della medaglia. Internet è utile, indispensabile, ma quando si tratta di informazioni scientifiche e mediche, il pericolo diventa serio: si rischia di cercare male e interpretare peggio, causando un danno alla propria salute anche soltanto convincendosi di essere malati o di avere una patologia diversa da quella reale, curandosi con rimedi dubbi e spesso deleteri, oppure, al contrario, di rifiutare le cure corrette e benefiche somministrate dal medico.

In questo scenario si creano fronti opposti: da una parte (spesso sui social) abbiamo anonimi utenti convinti di essere scienziati autodidatti con la missione di salvare il mondo, dall’altra parte ci sono schiere di medici che offrono su siti e social un’informazione seria e onesta.

Tra questi due fronti, si incunea poi quello dei giornalisti che si occupano di temi healthcare, non sempre in modo corretto, non sempre libero dai condizionamenti degli interessi di varie case farmaceutiche che, allettate dai dati in crescita, sono sempre più presenti creando un oceano di farmaci per un mare di disturbi e malanni, rispondendo ai feedback che ricevono dal popolo del web in una gara di articoli sensazionalistici e senza evitare il terrorismo psicologico.

Mantenere un atteggiamento razionale e obiettivo diventa difficile, ma è un dovere verso noi stessi, verso la nostra salute e quella delle persone che inevitabilmente entreranno in contatto con noi e con le nostre storie, ascoltando la nostra esperienza, fidandosi delle nostre impressioni, cercando di ripercorrere i nostri tragitti, se ci hanno portato al bene, o evitandoli se ci hanno portato alla rovina.

Dobbiamo ricordare a noi stessi che ogni vita ha la propria storia, che ogni persona è diversa dalle altre e ciò che leggiamo, ascoltiamo, diciamo, può influenzare le scelte altrui. Quindi non sbandieriamo miracoli che non esistono, non denigriamo cure che non conosciamo, ma soprattutto non banalizziamo i sentimenti: paura, dolore, conforto, ansia, speranza, delusione, indifferenza, entusiasmo, sono farmaci che agiscono sull’anima.

Marilena Aiello

Fonti:

http://www.panoramasanita.it/wp-content/uploads/2015/10/Sintesi-risultati-indagine-GFK-Eurisko-Health-Information-Journey.pdf

https://cristinacenci.nova100.ilsole24ore.com/2015/03/23/storie-digitali-perche-ci-fidiamo-di-google/