La diagnosi di sclerosi multipla giunge secondo statistica in una fascia di età media ricompresa fra i 20 ed i 40 anni
In modo repentino colpisce nella fase più fulgida della propria vita durante la quale il giovane adulto sta vivendo l’acme delle personali potenzialità in ambito professionale, sociale di produttività ed inserimento, a livello familiare, affettivo ed interpersonale. Non ne faccio tuttavia un fatto squisitamente cronologico e di fascia d’età pur essendo rientrata ad esordio in media statistica da prefazio. Penso invece che la diagnosi di una patologia cronica abbia le medesime ripercussioni anche sui giovanissimi che si affaccino alla vita e sui più maturi che abbiano consolidato sicure basi della esistenza e che si debba imparare a convivere, ciascuno a suo modo, con un percorso di malattia spesso denominato, a ragion veduta e popolarmente fra noi malati, Spada di Damocle.
Tanto in fase di diagnosi quanto in fase iniziale di patologia ciascun malato sperimenta su di sé la chiara sensazione di una linea netta di demarcazione fra il passato ed un nuovo presente in cui si ritrova proprio malgrado proiettato ed al contempo la dicotomia fra chi era e chi sia, chi sia e sarà. In questa linea di confine si insinuano una serie di stati d ‘ animo e durante il percorso di malattia intrapreso permangono un’ansia congiunta ad un senso di frustrazione e smarrimento, di precarietà ed il timore del proprio futuro in senso peggiorativo e limitante.
Spesso ritrovo che il rapporto medico specialista SM – paziente poggi su canoni obsoleti.
Ed è proprio questa linea di confine che potrebbe e dovrebbe divenire il punto di partenza di una nuova e più stretta collaborazione medico – paziente che sia incentrata anche sulla attenzione al piano individuale ed umano del paziente , coinvolgente della sua capacità decisionale e mirante al contempo alla salvaguardia dei punti cardine della sua esistenza quali : contesto familiare , collocazione nel contesto sociale , rapporti interpersonali che fin troppo spesso la patologia riesce a mettere in discussione, destabilizzare o peggio scardina insieme ad altre certezze. Il malato è e rimane investito del ruolo di attore principale di questo percorso di malattia; egli non è tuttavia la malattia. Il medico specialista curi la malattia non in senso generale ma il malato in modo individuale.
Il rapporto medico specialista di SM – paziente deve diventare dinamico a livello relazionale, orientare il paziente verso una corretta gestione della malattia, di flessibile adattamento ad essa e fare in modo che tanto gli aspetti clinici quanto umani di esso siano paritetici e procedano di pari passo. Deve non limitarsi ad una raccolta dei dati per formulazione diagnostica, e peri diagnostica. Deve dare modo ad entrambe le figure di raffrontarsi e ragionare insieme su esami clinici, sulle terapie effettuate dal paziente ed i loro esiti. Deve vedere la capacità di ascoltare e guardare alla storia individuale del paziente nella sua quotidianità, nel suo modo personale di relazionarsi col mondo e con l’esterno, nelle sue personali disposizioni, e renderlo partecipe in modo attivo del suo stato di salute e delle sue scelte.
Deve fare leva sulla sua flessibilità ossia sulla sua innata capacità di adattamento, lavorare con lui ed i familiari dal punto di vista cognitivo ed affettivo come alcuni medici specialisti sostengono in una visione nuova del rapporto col paziente , per rendere Il malato capace di adeguarsi a situazioni difficili , di convivere con sentimenti negativi come paura, frustrazione, rabbia , solitudine interiore senza farsi sopraffare e predominare da essi poiché reso partecipe alla attività della risoluzione dei conflitti e al superamento di ostacoli altrimenti insormontabili.
Tenendo sempre presente che la maggior parte dei malati patisce un sovraccarico emotivo e fisico , di frequente taciuto ai familiari per timore di turbare le persone che lo assistono (come evinto da una indagine eseguita su 1.500 malati di Sm RR di sette Paesi diversi nel 2015, da Genzyme e presentata al trentunesimo congresso dell’ ECTRIMS ) , deve essere prevista la collaborazione presso ciascun centro con una equipe più ampia , che preveda il supporto sul piano psicoterapeutico tanto al malato quanto alla famiglia del malato che spesso e’ sprovvista degli strumenti conoscitivi della patologia necessari ad una corretta assistenza , ad una maggiore comprensione del familiare malato nelle sue esigenze di malattia e perchè essa stessa spesso , per senso umano di smarrimento , non riesce ad ottemperare al nuovo status quo .
In questa nuova ottica del trattamento del paziente di SM ed in senso lato di qualunque paziente che soffra di una malattia cronica asserisce bene Davidson che il medico abbia il compito di infondere la Speranza consapevole. Una speranza che permetta al paziente di giungere ad un equilibrio ricercato continuamente attraverso la elaborazione di strategie di convivenza coi pericoli e le incertezze di una malattia cronica. Che non equivalga a cieco ottimismo ma a speranza attiva, certezza in azione nel trovare una soluzione passo dopo passo in questo percorso imprevedibile e precario di patologia.
Un malato di sclerosi multipla può imparare a ricorrere alle proprie capacità cognitive, affettive, di memoria di esperienze personali e terze, difficili ma con una soluzione, ad adeguarsi adattandosi alla patologia ed a i suoi limiti ostativi in modo conservativo di sé stesso e della propria vita. A camminare su quel sottile filo di acciaio della volontà di speranza consapevole.
Cinzia Occhino